domenica 3 novembre 2013

LIBERO DAL SATANISMO

Dopo quattro anni nel satanismo, ero in uno stato miserabile. Avevo visto tutto ciò che Satana poteva offrire, ed ero ancora miserabile. Decisi che l'unica cosa che mi restava da fare, come "rispettabile satanista", era suicidarmi. Ma prima ancora di entrare nel motel, temevo che qualcosa o qualcuno avrebbe potuto farmi deviare da quel proposito, così portai con me una bottiglia di whiskey e della marijuana.
Mi puntai la pistola alla testa, ma per qualche motivo non riuscivo a premere il grilletto. Sapevo che la pistola funzionava, ma proprio non riuscivo a premere il grilletto.
Disgustato di me stesso, ci riprovai la notte seguente. Una notte di Settembre del 1981, cercai di impiccarmi. Legai una corda alla trave del tetto del garage, e diedi un calcio alla sedia sulla quale ero salito. Caddi al suolo con la corda ancora legata alla trave.
"Che fallimento", pensai. "Non sono neppure in grado di uccidermi".
La storia del mio coinvolgimento nel satanismo è talmente comune che la si potrebbe quasi considerare un cliché. Ero un giovane solitario proveniente da una famiglia rovinata. Mio padre era un alcolista. Le cose a casa peggiorarono finché, alla fine, i miei genitori divorziarono. Io cercavo un posto a cui appartenere. Cercavo della gente che avesse attenzione per me e che mi accettasse. Cercavo amore, ma ero nel mezzo di una famiglia violenta che mi aveva lasciato disperato e spaventato. In risposta a questo, iniziai a cercare forza nel soprannaturale e nei poteri occulti.
Ero maturo per una tale esperienza, e per lungo tempo avevo nutrito interesse per la magia e per altri aspetti del paranormale. Sebbene fossi un giovane ragazzo, sapevo che esisteva una dimensione spirituale, e che ci doveva essere un modo per entrare in contatto con essa.
Il mio primo contatto con il satanismo avvenne nel 1978; una tempesta di neve colse di sorpresa la mia città. Ero uno studente di 17 anni, e durante la tempesta stavo lavorando in un negozio del posto. Stavo iniziando a chiedermi come poter tornare a casa quella notte, quando il responsabile del personale del negozio, un giovane di soli 18 anni, mi invitò a stare a casa sua, a pochi passi da lì.
Questo giovane sembrava avere tutto quello che io avevo mai desiderato. Prestigio, potere, dava tutta l'impressione di avere il controllo della propria vita e di essere molto più vecchio dei suoi 18 anni.
Quella notte, lui mi rivelò la fonte della sua forza. Ero affascinato. Mi mostrò le nozioni magiche e oggetti relativi all'occulto, che lui accumulava. Mi convinsi. Più tardi, quella notte stessa eseguimmo una cerimonia, e io diedi la mia vita a Satana.
Dopo essermi diplomato, questo mio "insegnante" e io ci trasferimmo per andare al college. Noi due cercammo di avviare un nostro gruppo satanista. Il gruppo [coven] sarebbe dovuto essere composto da 13 discepoli, ma noi riuscimmo a reclutarne solo 6, tutti maschi. Andammo ad abitare tutti in una stessa casa, dove eseguivamo rituali satanici che creavamo e improvvisavamo liberamente. Le attività del gruppo comprendevano lanciare sortilegi e sconsacrare Bibbie e ogni altra cosa Cristiana su cui riuscivamo a mettere le mani.
Durante questo periodo fui continuamente in contatto con i demoni, sebbene non con Satana stesso. I demoni erano dei servi potenti, ed erano sempre ai miei comandi, o almeno così credevo. Alla fine le parti spaventose e disgustose del satanismo oscurarono quelle che mi entusiasmavano. Cominciai a preoccuparmi della direzione che il gruppo aveva intrapreso. Sapevo di non poter partecipare al prossimo passo, il sacrificio di sangue. Sapevo che c'erano delle linee che neppure io avrei oltrepassato. Volevo uscirne.
Pensai, all'epoca, che l'unica cosa che mi restava da fare era suicidarmi. Con mio rammarico, fallii. Oggi so che solo l'intervento Divino ha potuto salvarmi dalla pistola e dal cappio.
Dopo essere tornato a casa, cercai di obliare i miei pensieri ubriacandomi, ma notai che il sapore della birra mi disgustava lo stomaco. Così, accesi una sigaretta per calmarmi i nervi, ma mi bruciò le labbra! Alla fine io, l'aspirante sacerdote satanista, andai in camera mia, mi stesi sul mio letto e cominciai a piangere.
Non dimenticherò mai in vita mia quello che accadde in seguito. Era notte fonda. Il resto del gruppo era fuori a festeggiare, così la casa era vuota. Nel silenzio udii una voce provenire da dietro il mio letto: "Esci da qui!" Smisi di piangere e guardai in giro per la stanza aspettandomi di vedere qualche demone. Eppure non ce n'era nessuno. La voce riprese, da un altro punto del letto, e disse di nuovo: "Esci da qui!"
Ricordo che fui talmente scosso da quel comando che obbedii immediatamente. Strisciai fuori dalla finestra più vicina passando dalla camera da letto alla strada, e sentii la presenza di Dio.
Le mie ginocchia divennero deboli e caddi sulla mia faccia; non avevo alcun dubbio su chi fosse. Alzando lo sguardo al cielo implorai: "Gesù, metti a posto la mia vita".
È passato tanto tempo dai giorni in cui ero coinvolto nel satanismo, ma credo ancora in un regno spirituale. Credo che vi siano demoni e angeli, male e bene. Ma ho scelto la luce invece delle tenebre. Il Signore mi ha aiutato ristabilendomi completamente. Ora sono sposato da 15 anni. Mia moglie Liz e io viviamo a Bonita Springs, in Florida. Con l'aiuto di Dio ho fondato il Refuge Ministries (Ministerio Rifugio).
Insieme, avvertiamo gli altri dei pericoli dell'occulto e di come aiutare le persone ad esserne liberate. Non lavoriamo solo con ex satanisti; so cosa significa essere soli e confusi, portati alla disperazione. Siamo qui per chiunque il Signore voglia mandarci.

sabato 29 giugno 2013

TESTIMONIANZA DI FEDE DI DON ARMANDO TREVISIOL

Più volte ho parlato di Roberto, il mio fratello più piccolo, prete come me, e parroco della popolosa parrocchia di Chirignago. Più volte poi ho sentito il bisogno di riconoscergli capacità, dedizione, coerenza e risultati notevoli. Don Roberto è un parroco intelligente, conosce il suo “mestiere” e lo fa bene, tanto da avere una bella parrocchia, forse la più bella del Patriarcato.
Qualche settimana fa, in occasione di una “tre sere” dedicata ai suoi giovani, sul tema “La fede”, mi ha invitato ad offrire la mia testimonianza. Eravamo in quattro a dire come era nata la nostra fede, come era cresciuta, le difficoltà che avevamo incontrato e lo stato di salute attuale.
Io, ottantatreenne, ero il più vecchio, prete da più di mezzo secolo. Dopo di me c’era un impiegato di una fabbrica di Marghera, ormai in pensione, una buona quindicina di anni di meno, poi due giovani cresciuti da don Roberto, ambedue trentenni (uno vecchio scout, “quadro” della “Veritas” ed uno dell’Azione Cattolica, insegnante in una scuola delle superiori).
Il pubblico era costituito da circa 150 giovani, dai 15 ai 25 anni, attenti e silenziosi. Abbiamo offerto, tutti e quattro, la nostra testimonianza di credenti, con onestà e convinzione, tutti e quattro credenti e praticanti.
L’uomo maturo si è presentato come un vincenziano, impegnato ad essere vicino ai colleghi in difficoltà, testimone della fede in un mondo lontano, indifferente e spesso critico.
Il funzionario della Veritas ci ha raccontato come lo scoutismo l’aveva salvato e maturato alla fede.
L’insegnante ha letteralmente rubato la scena col suo discorrere scorrevole e piacevole, raccontando la storia sua e della moglie, sposi senza figli, che hanno adottato due ragazzine, una delle quali disabile, e l’altra fortemente compromessa a livello psicologico ed avevano accolto poi altri tre figli che il buon Dio, un po’ tardivamente, aveva aggiunto alle due prime adottate. E’ stata una bella testimonianza, una traduzione concreta e faticosa della fede.
Io ho arrancato – da sempre sapevo che questo tipo di interventi non mi sono congeniali – ma all’entusiasmo e all’impegno di don Roberto non potevo e non ho voluto dire di no. Comunque mi sono accorto che di fronte alle testimonianze pulite e semplici dei miei tre colleghi e al candore della splendida ed innocente platea dei ragazzi, la mia fede era molto più problematica, sofferta e messa a dura prova dalla cultura e dal pensiero corrente.
Penso senza presunzione d’essere più avanti, di star precorrendo i problemi che questi giovani, prima o poi, dovranno affrontare se vorranno che la loro fede sia credibile e feconda nel nostro tempo.
Mi auguro che incontrino chi li guidi a passare da un cristianesimo piuttosto formale e rituale ad una fede più adulta e in linea con i tempi nuovi.

martedì 11 giugno 2013

QUALE É LA RELIGIONE GIUSTA?


CRISTIANESIMO O RELIGIONI CRISTIANE ?
Ci sono svariate religioni nel mondo, anche "cristiane", ma c'è un solo Vangelo. Tra le religioni e la fede Cristiana c'è una differenza enorme.
Il Cristianesimo, quello insegnato dalla Bibbia, non è una religione, ma è conoscere personalmente il Signore.

La religione è opera dell'uomo.
Il Vangelo è dono di Dio.

La religione è ciò che l'uomo fa per Dio.
Il Vangelo è ciò che Dio ha fatto per l'uomo.

La religione è l'uomo in cerca di Dio.
Il Vangelo è Dio che si rivela all'uomo.

La religione consiste, per l'uomo, nell'arrampicarsi sulla scala della propria giustizia con la speranza di incontrare Dio sull'ultimo gradino.
Il Vangelo consiste, per Dio, nel discendere la scala, venendo a noi in Cristo, per incontrare noi, peccatori, sul gradino più basso.

La religione è "buona volontà" umana.
Il Vangelo è la "Buona Notizia" da parte di Dio.

La religione è "buoni consigli".
Il Vangelo è "l'annuncio di una grande gioia".

La religione prende l'uomo e lo lascia com'è.
Il Vangelo prende l'uomo com'è, ma ne fa ciò che deve essere.

La religione riforma l'esteriore.
Il Vangelo trasforma nel profondo.

La religione pulisce in superficie, è apparenza, ipocrisia.
Il Vangelo pulisce di dentro l'uomo che mette la sua vita nelle mani del Signore.

Talvolta la religione non è che una commedia.
Il Vangelo è vita.
Il Vangelo è la "potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede".

UNA RELIGIONE VALE L'ALTRA ?
È naturale desiderare di credere in un Dio che salva tutti gli uomini, indipendentemente da quello che essi credono o fanno, ma ciò non è biblico. Per credere in un simile Dio bisogna rigettare gli insegnamenti principali della Parola di Dio. Ascoltate le parole di Gesù quando chiamò l'apostolo Paolo al servizio missionario:
"Per questo ti sono apparso: per farti ministro e testimone delle cose che hai viste, e di quelle per le quali ti apparirò ancora, liberandoti da questo popolo e dalle nazioni, alle quali io ti mando per aprire loro gli occhi, affinché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, e ricevano, per la fede in me, il perdono dei peccati e la loro parte di eredità tra i santificati." (Atti 26:16-18)
Questo è un incarico privo di senso se gli occhi delle nazioni non hanno bisogno di essere aperti, se non hanno bisogno di convertirsi dalle tenebre alla luce, di sfuggire al dominio di Satana per andare a Dio e non hanno bisogno del perdono dei loro peccati che si riceve solo per la fede in Cristo, predicata dai ministri del Signore. Paolo non spese la sua vita come missionario in Asia, Macedonia, Grecia, Roma e Spagna per informare le persone che erano già salvate. Egli diede sé stesso "per salvarne ad ogni modo alcuni" (1 Corinzi 9:22).
Così quando il messaggio di Paolo riguardo a Cristo fu rigettato (per esempio, ad Antiochia dai Giudei), egli disse: "Poiché la respingete [la Parola di Dio] e non vi ritenete degni della vita eterna, ecco, ci rivolgiamo agli stranieri" (Atti 13:46). C'è in gioco la vita eternadelle persone non raggiunte dal vangelo!
"In nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati" (Atti 4:12).
Gesù Cristo disse: "Entrate per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. Stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano" (Matteo 7:14).
"Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Giovanni 14:6).

giovedì 23 maggio 2013

MARTIRI


Non temere quello che avrai da soffrire... Sii fedele fino alla morte e Io ti darò la corona della vita.
(2 Timoteo 1:8 - Apocalisse 2:10)
Quando l'imperatore Licinio perseguitava i cristiani d'Armenia, quaranta soldati d'una legione si dichiararono cristiani; per questo motivo furono condannati a passare la notte, nudi, sulla superficie d'uno stagno gelato. Una casa era stata preparata sul bordo dello stagno con del fuoco e del cibo per accogliere ogni soldato che avesse abbandonato la sua fede.
Il vento freddo del Caucaso spazzava la campagna, e sullo stagno quaranta prigionieri pregavano. Alcuni camminavano per combattere il freddo, altri, coricati, aspettavano la morte. Una preghiera, come un mormorio, si alzava verso Dio: "Signore, quaranta soldati lottano per te. Permetti che quaranta soldati ricevano la corona della vita".
A un certo punto uno di loro, non riuscendo più a resistere, si diresse verso la casa. Il centurione che sorvegliava gli uomini rimasti, sconvolto dalla loro testimonianza, credette al Signore Gesù che essi invocavano. Lasciò entrare nella casa il legionario che aveva ceduto alla tortura e poi, dopo aver coraggiosamente dichiarato la sua fede in Cristo, andò a prendere il suo posto sullo stagno gelato.
Il freddo continuò la sua opera. Si udiva appena la preghiera dei martiri e poco dopo quaranta uomini entrarono nel riposo. Un giorno essi, insieme a quanti come loro hanno mostrato fino alla fine il loro amore per Cristo, riceveranno la corona della vita dal Signore per la loro fedele testimonianza.

"Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati.
Non temete quelli che uccidono il corpo ma, oltre a questo, non possono far di più.
"

(Luca 12:4 - 2 Timoteo 3:12)
Perpetua aveva 22 anni. Sua madre era cristiana e suo padre pagano. Abitava a Cartagine, in Tunisia, nel 2° secolo d.C. Aveva un bambino di alcuni mesi quando, per ordine dell'imperatore Severo, fu arrestata perché era cristiana.
Appena lo seppe, il suo anziano padre che l'amava molto venne a supplicarla di rinunciare alla sua fede. Perpetua rifiutò. Tentarono di farla cedere concedendole qualche favore: le diminuirono le torture e le portarono il suo bambino. Alla vigilia del processo suo padre tornò a trovarla: "Figlia mia, abbi pietà dei miei capelli bianchi. Non espormi al dolore e alla vergogna di vederti morire in un'arena". Si gettò ai suoi piedi e pianse.
Al momento dell'interrogatorio, mentre la sala d'udienza era al completo, il padre dell'accusata corse portando in braccio il suo bambino. La supplicò di rinunciare alla sua fede. Persino il giudice le disse: "Abbi pietà di tuo madre e di tuo figlio! Offri sacrifici all'imperatore".
"Non posso".
"Sei cristiana?".
"Sì, lo sono".
Perpetua fu condannata ad essere gettata in pasto alle belve del circo, un giorno in cui l'imperatore avrebbe dato una festa. E quel giorno non tardò. Fu condotta al supplizio con altri martiri. Prima di morire, si abbracciarono. Se ne andavano presso Gesù.

"Poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni... corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, fissando lo sguardo su Gesù."

(Ebr. 1:1,2)
"Andare in galera" oggi è un'espressione banale. Ma chi erano quelli che venivano mandati alle galere sotto il regno di Luigi XIV in Francia? Erano dei prigionieri comuni, certo, ma anche persone innocenti definite "eretici". Erano cristiani. Fra il 1685 e il 1752, sono state contate 7370 condanne di cristiani che preferifano morire piuttosto che rinnegare il Signore. Marchiati a fuoco con tre leggere infamanti (GAL), designati con il numero di matricola della prigione, incatenati al collo con un assassino o un rapinatore, aspettavano di partire per le galere reali. Là remavano fino alla morte, costretti alla cadenza imposta a colpi di frusta dalle guardie della ciurma.

Quando erano ancora in prigione cantavano. Sulla lunga strada fino a Marsiglia, cantavano. Sul male si elevava il canto dei Salmi. Come i primi cristiani, e come l'apostolo Paolo e Sila, che nella prigionia "cantavano inni a Dio; e i carcerati li ascoltavano" (Atti 16:25). Persino nella sofferenza essi manifestavano la gioia di essere testimoni del solo grande Dio, proclamavano la loro speranza e la loro fiducia.

Chi erano i vincitori, i veri uomini liberi? Quei galeotti o i loro carnefici? Erano quelli che potevano dire: "Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità?... In tutte queste cose noi siamo più che vincitori, in virtù di Colui che ci ha amati" (Rom. 8:35,37)


Per notizie sulle persecuzioni nel mondo ai giorni nostri cliccare qui.



Qualche riflessione personale sul martirio islamico

In questi ultimi tempi (2004, ndr), si sente spesso parlare di "martiri" islamici: uomini che si fanno saltare per aria per portare alla morte quante più persone possibili tra i nemici della loro religione. Le loro madri li piangono pubblicamente, ma si dichiarano felici e onorate perché quell'atto suicida di inaudita violenza e odio permetterebbe ai giovani attentatori di guadagnarsi "un posto in cielo accanto ad Allah" (cf. una testimonianza). Sempre più frequentemente, anche le donne scelgono la strada di questo folle "martirio volontario" - spesso per una sorta di ricatto psicologico e religioso, secondo cui le donne colpevoli di adulterio possono autoredimersi morendo assieme ai nemici delle organizzazioni terroristiche - mentre numerosi bambini ricevono l'addestramento per diventare futuri guerriglieri e kamikaze, seguendo l'esempio dei loro famigliari.

L'uso improprio che viene fatto del termine "martire" può indurre a pensare che ci sia qualche collegamento tra i martiri cristiani e gli aspiranti suicidi di varie religioni, ma non è affatto così.
I molti martiri (parola che significa "testimoni") cristiani furono torturati e uccisi - e lo sono ancora oggi in molte parti del mondo - non per un morboso desiderio di morire da parte loro, ma per il solo fatto di non aver accettato di rinnegare la propria fede in Cristo Gesù. Per questa testimonianza coerente davanti ai loro aguzzini, sono stati crudelmente perseguitati e uccisi.

Gesù disse: "Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi" (Giov. 15:20). "Vi metteranno le mani addosso e vi perseguiteranno consegnandovi alle sinagoghe, e mettendovi in prigione, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome" (Luca 21:12).
Molti "furono torturati... altri furono messi alla prova con scherni, frustate, anche catene e prigionia. Furono lapidati, segati, uccisi di spada; andarono attorno coperti di pelli di pecora e di capra; bisognosi, afflitti, maltrattati (di loro il mondo non era degno), erranti per deserti, monti, spelonche e per le grotte della terra." (Ebr. 11:35-38)

La storia ci ricorda che già nei primi secoli, gli imperatori pagani costringevano i cristiani a scegliere se rinnegare la loro fede oppure essere messi a morte nei modi più terribili. Andarono così incontro al martirio Giustino, Policarpo di Smirne, Carpo, Papilo, Agatonice, i Martiri di Lione, e molti altri. Anche il papato perseguitò e uccise numerosi cristiani che non vollero distaccarsi da Cristo (tra gli esempi più eclatanti ricordiamo John Wycliffe e William Tyndale).
La risposta di tutti quei cristiani ai loro persecutori è stata fino alla fine l'ubbidienza alla volontà del Signore Gesù: "Ma io vi dico: amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano, e pregate per quelli che vi maltrattano e che vi perseguitano." (Mat. 5:44)

"Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? In tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati. Infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun'altra creatura potranno separarci dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore." (Rom. 8:35-39)


martedì 14 maggio 2013

GUARITO DAL CANCRO


Mi chiamo Salvatore. Prima di conoscere Gesù ero un alcolizzato e tossicofarmaco da 21 anni. Poi un giorno nel 2000 mi diagnosticarono un tumore maligno alla vescica e da quel giorno la mia esistenza è andata a peggiorare perché non accettai la malattia e il mio corpo deperiva giorno dopo giorno.

Arrivato a quel punto mia moglie mi chiese se ero disposto ad andare a San Giovanni Rotondo da Padre Pio e io credendo di ricevere la guarigione andai, ma non fu così, anzi tornai a Sassari e peggiorai ancora di più.

Passò un anno e nel 2001 incontrai un credente evangelico che sapeva delle mie condizioni, e per farmi ricevere la salvezza mi parlò di Dio e del suo figliuolo Gesù Cristo.

Le parole di quell'uomo mi rimasero impresse nella mente per molti mesi, poi vedendo la mia condizione aggravata, lo andai a cercare e lo pregai di accompagnarmi nella chiesa che lui frequentava.

Entrai e mi sedetti. Ad un certo punto del servizio di culto il pastore della chiesa invitò le persone ad accettare Gesù per ricevere la guarigione facendo un passo di fede. In quel momento sentii di rispondere all'appello e di farmi avanti.

I fedeli che erano lì presenti insieme al pastore pregarono per me. Io posi tutta la mia fede in quello che stavo facendo e in quel momento sentii un brivido dentro il mio corpo e fui guarito all’istante da Gesù.

La mia vita da quel giorno fu cambiata. Accettai GESU' nel mio cuore.

Da quel giorno sino ad ora sono passati quasi due anni e sto molto bene fisicamente e con me stesso, con la mia famiglia naturale, con la mia famiglia spirituale e sto bene soprattutto con Dio e con suo figlio Gesù Cristo.

Spero che questa mia testimonianza possa entrare nei vostri cuori e possa farvi capire quanto è potente la mano di Dio e che per Lui niente è impossibile.

giovedì 9 maggio 2013

TESTIMONIANZA DI UN MEDICO

Mia madre aveva pregato molto perché fossi un vero cristiano. Tuttavia, fin dai primi anni della mia vita di studente, rifiutavo il cristianesimo; arrivai al punto di vendere, per comprarmi degli alcolici, la Bibbia che mia madre mi aveva donato. Quel libro mi dava veramente fastidio. La mia vita senza Dio fece di me un uomo dai costumi dissoluti, anche se ero stimato per le mie qualità professionali.

Quando divenni medico ospedaliero, vidi ogni tipo di disgrazia. Un giorno fu portato nel mio ambulatorio un muratore, vittima di un incidente sul lavoro. Il suo stato era disperato ed egli ne era cosciente. Ma l'avvicinarsi della morte non lo preoccupava affatto. Fui profondamente colpito dall'espressione felice sul suo viso.

Dopo la sua morte, poiché non aveva famiglia, furono esaminati in mia presenza i pochi effetti contenuti nella sua borsa. Tra le altre cose si trovava una Bibbia. Quale fu la mia sorpresa quando riconobbi che era quella che mi aveva dato mia madre! La aprii: vi era segnato il mio nome come pure un versetto scritto da lei. Chiesi ed ottenni che il libro mi fosse assegnato. L'ultimo proprietario l'aveva certamente letta molto, a giudicare dai numerosi versetti sottolineati. Ero sconvolto. Dio mi cercava. Rispondeva alle preghiere di mia madre. Non ebbi requie fino al momento in cui accettai Gesù come mio Salvatore.

Quella Bibbia è diventata per me un gran tesoro: mi ricordava mia madre, un episodio della mia vita, e soprattutto era una testimonianza della grazia del buon Pastore che continua a cercare la sua pecora perduta finché la trova.

domenica 5 maggio 2013

TESTIMONIANZA DI UN EX ATEO


"Sono nato in una famiglia moralmente sana, ma direi con uno spirito religioso alquanto debole (non so se questa sia l'espressione più felice); dovete pensare che in famiglia siamo stati molti figli, una famiglia che in completa libertà ha lasciato che tutti si formassero da soli, e questo naturalmente è alquanto pericoloso. Noi sappiamo che è indispensabile un indirizzo, è indispensabile un consiglio, e io uso questo elemento per rinnovare l'esortazione a coloro che sono nati in una famiglia cristiana, a farne tesoro, perché è un privilegio e non solo un privilegio, ma anche un'autentica benedizione.
Mi voglio riallacciare subito ad un secondo elemento: nella mia primissima giovinezza ebbi contatto con una persona che poi divenne un amico, e da qui l'amicizia pericolosa che poi incominciò ad influenzare negativamente la mia vita dal punto di vista spirituale, più che dal punto di vista morale. Era un eclettico, una persona intelligente, aveva delle grandi capacità nel parlare e nell'esporre le sue tesi, e mi ricordo che mi conquistò con la sua teoria (che poi non era sua, egli la esponeva semplicemente) dell'immortalità della materia, teoria fondata su un principio banalissimo: "Nulla si crea e nulla si distrugge." Questa teoria si trasformava in una conclusione ovvia: l'anima veniva annullata completamente. Infatti io mi ritrovai senz'anima, da un punto di vista diciamo intellettuale, e da questo punto di vista io ripudiai completamente la religione. Noi ne avevamo poca, come vi ho detto, era molto debole nei nostri sentimenti, e nella nostra pratica ancor di più; c'era stata un po' di religione nella mia famiglia fino a tanto che la mia vecchia nonna era stata con noi, poi io rimasi orfano all'età di otto anni, così morendo mia madre anche mia nonna se ne andò con un figlio, e quindi quel po' di vitalità religiosa scomparve dalla nostra casa; era scomparsa dalla nostra vita, era scomparsa dalla mia vita, e poi tramontò definitivamente in seguito a questa amicizia. Per un periodo di tempo io mi sentivo soddisfatto, pensavo di aver realizzato una conquista, cioè di aver raggiunto un grado evolutivo che mi aveva portato più in alto, ero maggiormente libero, padrone di me stesso in maniera assoluta (in fondo questo è il pensiero dell'uomo che rompe con Dio). Ma in un primo momento quella felicità mi riempi di euforia fino al punto che io non mi rendevo conto della distruzione che si era verificata nella mia vita; me ne resi conto all'età di diciassette anni, quando improvvisamente io fui aggredito dallo spavento della morte. L'immortalità della materia non è l'immortalità dell'anima; io potevo pure pensare che attraverso questa trasformazione a livello ideologico potevo diventare un albero, far parte della natura, ma l'anima mia non esisteva: mi resi pienamente conto che in fondo era il nulla, era l'annientamento.
Questo cominciò a produrre in me un'angoscia, uno spavento, direi proprio un terrore nel senso fisico della parola, tanto fisico che improvvisamente io non ebbi più la possibilità di percepire le cose e le persone in un modo reale, ma soprattutto le persone scomparvero davanti a me: io non incontravo più persone per la strada, non entravo più in contatto con le persone in nessun luogo, e ricordo che anche al cinema o al teatro non vedevo più persone davanti a me, ma vedevo soltanto degli scheletri. Perché? Era una specie di lavoro mentale che si produceva in me, io arrivavo alla conclusione della vita di ogni individuo e per ogni individuo, indipendentemente dall'età, io arrivavo subito alla bara e dalla bara alla decomposizione e dalla decomposizione allo scheletro, quello che poi appariva davanti agli occhi miei. Quindi, non vedevo questo annientamento solo in riferimento a me, ma in riferimento a tutto e a tutti: proprio in quello stato mi resi conto dell'abisso nel quale ero caduto. Qui non era una questione morale, era una questione squisitamente spirituale nella quale entravano ovviamente anche elementi morali in quanto, lontano e separato da Dio un giovane cammina nelle vie del peccato. Probabilmente non ho conosciuto grandi contaminazioni e grandi immoralità come altri, ma la via lontana e separata da Dio è sempre una via peccaminosa; ma soprattutto da un punto di vista spirituale avvertii proprio l'abisso. Fu in quel periodo che incominciai a cercare e a desiderare, tentai anche di avvicinarmi alla religione, e l'unica che conoscevo era quella che mi era stata insegnata da mia nonna; e provai ad entrare in una chiesa cattolica e ci entrai per alcune volte. Era un periodo particolare, il periodo quaresimale, cioè il periodo delle prediche, e mi ricordo che mi interessavo in quelle prediche perché cercavo di scoprire qualche cosa che risolvesse il mio problema; ma il mio problema non ebbe una soluzione ed io continuai ad essere assillato da quel timore, da quello spavento che era diventato qualcosa di fisico, qualche cosa che mi toglieva il sonno. (...)
Avevo allora diciassette anni. Proprio in quell'età, mentre mi trovavo in questo stato, in casa mia veniva una sorella, una semplice sorella che molti hanno conosciuto (ha terminato la sua vita a Bethel), che veniva per ragioni di servizio, per aiutare la mia matrigna (nel frattempo mio padre si era sposato di nuovo). Lei era una cristiana, una tra le prime sorelle della chiesa di Roma ad accettare il messaggio della verità e della salvezza, e con estrema semplicità rendeva testimonianza dell'opera che aveva realizzato. Vi voglio subito dire che per me il suo linguaggio era in parte incomprensibile, ma tra le sue parole colsi quello che era necessario all'anima mia, che fu questo: il Signore è un Signore vivente, Cristo risponde a tutti coloro che lo invocano e hanno bisogno di Lui. Per me era una frase veramente decisiva e convincente, appunto perché se io avessi incontrato una persona che avesse cercato di coartare la mia mente e di entrare in polemica con me, probabilmente ero in possesso di argomenti per controbattere e non so come si sarebbe conclusa quella conversazione.
Ma quella sorella non tentò di fare questo e forse non ne aveva neanche la capacità, ma aveva una capacità: quella di parlare di Gesù in una maniera reale, in un modo vivo, in fondo la stessa capacità di Filippo quando disse a Natanaele "Vieni e vedi". Infatti concluse la sua testimonianza proprio con queste parole: "Non devi ascoltare quello che ti sto dicendo io, il Signore ha risposto a me e io posso solo dirti che ho la certezza che se tu vorrai essere salvato risponderà anche a te; ma puoi cercarlo da solo, e devi cercarlo da solo: nel buio della tua cameretta invoca il Signore, se tu vuoi incontrarlo digli semplicemente: "Signore, se veramente rispondi a coloro che Ti desiderano, rispondi all'anima mia".
Io ricordo che immediatamente mi proposi di fare la prova perché lo desideravo, ne avevo l'imperioso bisogno; ma c'era una difficoltà, una difficoltà costituita dalla presenza dei miei fratelli nella medesima camera. Come ho già detto, eravamo diversi figli; avevamo anche diverse camere in quell'epoca e io dormivo con altri due fratelli nella medesima camera, e non avevo il coraggio di fare un esperimento davanti a loro. Però ebbi il coraggio e la costanza di aspettare che loro si addormentassero, e nel buio della notte io scesi dal mio letto e invocai il Signore; invocai il Signore ed Egli rispose all'anima mia. (...) Subito dopo ho sentito il bisogno di incontrarmi con quel popolo di cui quella sorella rendeva testimonianza, quel popolo al quale anche lei apparteneva, e andai a questa adunanza. Tenete presente che allora questa adunanza era una specie di cantina, si trovava diversi metri sotto terra, era una sala molto piccola e senza finestre, dove generalmente si stipava un popolo più numeroso del nostro.
Ebbene, la prima cosa che mi impressionò fu questa: io mi trovai di fronte a delle persone che vivevano la loro religione, me ne resi conto immediatamente, mi resi conto che era una cosa totalmente diversa da quella che avevo conosciuto fino a quel giorno. Ma la cosa che immediatamente fu determinante per me fu che lì sparì la visione degli scheletri: non avevo più degli scheletri davanti, avevo delle persone vive, avevo delle persone che vivevano la vita e la vita del Signore. Infatti questa esperienza e quella di quella notte nella mia cameretta si fondono. Quella notte io sentii solo questa gioia questa pace questo imperioso impulso interiore di cercare di trovare questo popolo, e io trovai il Signore.
Non molto tempo dopo chiesi di fare il battesimo (ormai sono passati 49 anni), così scesi nella acque del battesimo e immediatamente mi misi alla ricerca del battesimo dello Spirito Santo. In quel periodo le riunioni di preghiera erano frequentissime, non si tenevano soltanto una volta la settimana riunioni regolari per lo Spirito Santo si tenevano almeno due volte alla settimana, il mercoledì e il venerdì. Vi voglio dire, in relazione a queste riunioni di preghiera, una cosa che vi può interessare, cioè: noi dovevamo tenere queste riunioni in una forma estremamente privata perché quello che noi abbiamo visto in queste sere, questa manifestazione anche rumorosa, anche viva, anche calda, in quelle riunioni di preghiera c'era regolarmente tutte le sere. Io ricordo chiaramente, fin dalla prima volta che partecipai ad una riunione di preghiera (fino a tanto che le Autorità, quando iniziò la persecuzione, non ci chiusero la sala), che noi avevamo esattamente le medesime riunioni di preghiera traboccanti della presenza, della gloria e della potenza del Signore. Quelle riunioni di preghiera spesso non si potevano concludere, e non si potevano concludere perché non c'era forza capace di indurre quei fratelli e quelle sorelle ad allontanarsi da quel luogo dove c'era la gloria del Signore. Ma voglio anche aggiungere un particolare: venuta la persecuzione, chiusa quella sala, le riunioni di preghiera non sono cessate. Se qualcuno di voi ha visitato le Fosse Ardeatine (e io indico un posto soltanto), vi voglio dire che dentro quelle cave (oggi sono in parte illuminate, allora erano un'autentica tomba) noi abbiamo avuto riunioni di preghiera, riunioni di preghiera nelle campagne e riunioni di preghiera in ogni luogo.
Siamo cosi arrivati al periodo della persecuzione. La persecuzione arrivò nel 1935 (nel 1933 il Signore mi aveva salvato). Verso la metà del 1935 furono chiuse tutte le adunanze in Italia, furono emanate delle circolari da parte del Ministero degli Interni, furono mobilitate le prefetture e le questure e si scatenò questa persecuzione. Io mi ritrovai nel mezzo della persecuzione insieme a tutti gli altri, ma vi voglio dire che io e gli altri eravamo disposti ad affrontare qualunque cosa perché il fuoco dello Spirito, il calore dell'amore del Signore, erano sufficienti per noi per farci affrontare quelle contraddizioni.
Avevo allora diciannove anni. Per me la persecuzione fu anche la chiamata al ministerio perché inizialmente, avendo perduto il locale di culto, fummo costretti a tenere delle riunioni in case private, quindi il popolo si suddivideva in tre, quattro gruppi più o meno numerosi, nelle case che erano disposte ad ospitare questi gruppi, e facevamo dei culti. Ovviamente questo implicava che non un fratello solo, ma più fratelli prendessero cura di questi gruppi e in quel periodo io mi sentii sospinto a prodigarmi. E infatti i fratelli insieme con me ricevettero una conferma che c'era una risposta dal Signore e io fui, diciamo, proprie incaricato non di un solo gruppo, perché noi ci alternavamo in maniera che tutti i gruppi fossero mantenuti in con tatto con tutti, avevo cura di uno di questi gruppi. In quel periodo si verificò un fatto che ancora di più contribuì ad impegnarmi nel ministerio, perché eravamo soprattutto in tre fratelli che avevamo la responsabilità massima di tutto il lavoro nell'opera del Signore qui in Roma; due di questi fratelli, a breve distanza, dopo essere stati arrestati furono rimpatriati ai loro paesi con il foglio di via obbligatorio, e quindi per loro si determinò la proibizione di ritornare a Roma. Non so se voi siete pratici di queste misure di polizia: il foglio di via obbligatorio, non solo provvede al rimpatrio, ma esprime una diffida a ritornare al luogo da dove si è rimpatriati, e quindi questi due fratelli si trovarono fuori e io mi trovai solo ad assumere il carico della responsabilità di tutta la chiesa. Avevo allora ventuno o ventidue anni. Perché rimasi? Perché io sono romano, non mi potevano rimpatriare che a Roma, quindi anch'io fui chiamato, anch'io comparvi davanti alla commissione per l'assegnazione del confino di polizia o per l'ammonizione, e fui ammonito. Non so se voi sapete che cos'è l'ammonizione (qualcuno la chiama la "sorveglianza speciale"): l'ammonito è sottoposto ad una misura di polizia, la misura di polizia è questa: l'ammonito non può uscire di casa prima di una certa ora, non deve frequentare luoghi pubblici, non deve aver contatto con persone sospette dal punto di vista giuridico e legale. Comunque tutto il tempo che ho avuto l'ammonizione l'ho trasgredita regolarmente ogni giorno, perché ogni giorno io ho continuato la mia attività, ho incontrato i fratelli, ho presieduto le riunioni, ho tenuto i culti e il Signore mi ha guardato.
Voglio fare un passo indietro. Come già ho detto, io mi sono trovato nel ministero non solo per la persecuzione, ma rispondendo a qualcosa che stava nel mio cuore: era un desiderio! Quando noi parliamo di ministerio, parliamo di chiamata e di vocazione, le due cose poi si fondono insieme: la chiamata è una vocazione che viene dall'esterno, la vocazione è una chiamata che viene dall'interno. Non è un gioco di parole, è una precisazione dottrinale; il Signore chiama e noi dobbiamo avere questa vocazione, e io avevo questa vocazione e appunto risposi a questa chiamata. Ma realizzai in quel momento, anche in ragione della mia età e anche in ragione della situazione particolare nella quale veniva questa chiamata, che, perché questa chiamata fosse onorata, da parte mia doveva esserci una autentica consacrazione. Vi posso anche aggiungere che in quei giorni una autentica consacrazione c'era da parte di tutti i giovani, per autentica consacrazione io intendo nel senso che non soltanto non dovevo pensare più a tutte quelle cose che avevo lasciato (io per esempio ero assorbito dallo sport, ero preso da una passione per quanto riguardava lo sport, ma lo sport l'avevo lasciato con il cinema, con il teatro ecc.), ma rispondendo a quella chiamata io sentii che dovevo dedicare interamente me stesso, il mio pensiero, la mia vita, per quel lavoro che era un lavoro impegnativo, un lavoro che doveva essere compiuto per il Signore. Ma come ho detto e come voglio ripetere un'altra volta, in quei giorni mi sembrava che proprio nel mezzo della nostra comunità c'era questo sentimento, non esistevano i facili sentimentalismi, non esistevano i facili flirt; come ho detto in un'altra circostanza, c'era un pensiero serio, un pensiero grave, un pensiero impegnato al cielo e alle cose di Dio. Questo derivava anche da un fatto, quello della persecuzione. Voi dovete tener presente che ogni volta che noi uscivamo di casa ed ogni volta che ci recavamo in una riunione di culto, non eravamo sicuri al cento per cento di ritornare a casa o di rimanere liberi; infatti io sono stato arrestato diciassette volte.
A proposito dell'ammonizione, ricordo che il Signore, mi liberò in maniera meravigliosa attraverso quei tre mesi e mezzo di ammonizione (avevo avuto due anni e mezzo di ammonizione, ma venne un'amnistia che la cancellò e quindi da quel momento potevo ritirarmi a qualunque ora), ma dopo pochi giorni fui arrestato e feci 16 giorni nel carcere di Regina Coeli. Questo per mostrare che il Signore è pronto a liberare quando vuole liberare, e quindi quando ci troviamo nella prova dobbiamo accettarla nel piano della Sua volontà come qualche cosa che è per Sua gloria e per il nostro bene. (...) Qui vorrei un momento fermarmi per dire che attraverso la persecuzione il Signore ha fatto delle cose veramente gloriose, prima di tutto nella Sua chiesa; gloriose perché ha fortificato delle anime e le ha irrobustite, gloriose perché ha sviluppato un amore nella comunità, che probabilmente non c'è stato mai uguale nel seno della chiesa come in quell'epoca; ci sentivamo tutti uno vicino all'altro, pensate: ci sono state delle famiglie smembrate, fratelli che sono stati per lunghissimo tempo in carcere, abbiamo avuto anche dei fratelli che sono morti nel luogo di confino e in carcere, morti proprio per la causa del Vangelo, ma in quel periodo non c'è stata una famiglia che si è trovata nel bisogno, non c'è stato un fratello che non è stato assistito, non c'è stata una condizione che non si è incontrata e un problema che non si è risolto, proprio perché l'amore è quell'amore operante che viene riscaldato dalla persecuzione.
Ma la persecuzione ha operato anche favorevolmente dando proprio delle nuove visioni della potenza della grazia di Dio: noi abbiamo potuto vedere tante volte che stavamo nelle mani dei persecutori e il Signore ci ha fatto uscire dal mezzo delle loro dita; altre volte il Signore ha permesso che fratelli fossero incarcerati o confinati, ma voglio dire che il Signore ha salvato nelle prigioni, il Signore ha salvato al confino, il Signore ci ha dato delle occasioni meravigliose per dare una testimonianza in quei luoghi dove noi non saremmo mai potuti giungere. Alcuni giorni fa mi trovavo a Frascati, con un fratello, e appunto stavo facendo vedere al fratello che stava con me il Comune di Frascati, perché nell'aula magna di questo Comune è stato celebrato un processo, ed è stato celebrato un processo nell'aula magna e non nella pretura perché gli imputati erano tanti e poi tanti, e le intenzioni di quello che allora era il podestà, erano di dare un pubblico spettacolo (infatti erano state invitate tutte le autorità del paese). Eravamo in quel processo circa 72 imputati. Per noi è stata un'occasione magnifica, un'opportunità evangelistica: abbiamo testimoniato con franchezza alla grazia di Dio e abbiamo turato la bocca a tutti. Venne presso di noi l'avvocato difensore (non l'avevamo messo noi, era un avvocato d'ufficio) che aveva sposato un po' la nostra causa, e tra una pausa e l'altra del processo venne a dirci: " Io farò del mio meglio, ma non sperate nulla perché io so che la sentenza è già scritta, non c'è nulla da fare". Il Signore l'aveva permesso. In quella circostanza io fui condannato a due mesi e mezzo di prigione e a 1500 lire di multa, e noi già pensando alla multa pensavamo al trasferimento in prigione, perché non eravamo disposti a pagarla. In quei giorni le multe si traducevano in prigione nella proporzione di un giorno ogni 50 lire, quindi sarebbero stati altri 30 giorni di prigione. In seguito il Signore ci liberò anche da quello perché in un appello che facemmo noi fummo tutti assolti e il Signore fu glorificato.
Ma intanto la chiesa continuò e come ho già detto io venni a trovarmi solo in questo incarico, in questo impegno, e credo che era necessario per me realizzare in che modo, fino a che misura il Signore può assistere e può aiutare. Ho conosciuto periodi che posso dire anche di quiete, di tranquillità, ma ho conosciuto anche periodi impegnati, di battaglia; ma credo che il Signore mi ha preparato fin dal principio, perché quando era ancora aperta l'adunanza io mi sono trovato proprio inizialmente a vivere un tormento particolare della comunità, eppure ricordo chiaramente (e questo ci dovrebbe far pensare) che neanche per un istante io pensai di lasciare il Signore. Neanche per un istante pensai che quel fatto che si trovava davanti a me era elemento di scandalo o di turbamento. Noi qualche volta ci preoccupiamo oltre misura di certe cose; certamente non dobbiamo scandalizzare nessuno e non dobbiamo mai essere motivo di turbamento, ma dobbiamo anche essere certi che le anime che hanno veramente accettato il Signore-"le piante che il Padre mio ha piantate" - diceva Gesù - non possono essere sradicate perché sono piante del Signore.
Anche quelli della mia famiglia inizialmente si scagliarono tutti contro a me, naturalmente si scagliarono in una forma abbastanza civile perché si limitarono soltanto a schernire, si limitarono a cogliere ogni occasione per "punzecchiare", come si dice comunemente, ma io accettavo diciamo di buon grado questa ostilità. Sennonché ricordo che una volta, mentre eravamo a tavola, uno dei miei fratelli o mio padre (non ricordo con precisione) colse la solita occasione per lanciare la solita frecciata, e in quella circostanza intervenne a mia difesa la mia matrigna dicendo: "No, non dobbiamo continuare perché mi sembra che sta cambiando, sta diventando meglio..."
Ed io mi preoccupai, mi spaventai, perché questo diventare meglio per loro significava per me diventare peggio, e quindi mi controllai maggiormente. Comunque, esaurito il primo impulso, esaurito il primo attacco, loro stessi si stancarono e cominciarono forse a considerare il fenomeno da un diverso punto di vista.
Vorrei riallacciarmi per un attimo alla mia infanzia spirituale, a quell'infanzia spirituale che ha preso un determinato indirizzo nelle vie del Signore. Stavo proprio pensando oggi, e ricordando, degli episodi che sembrano addirittura banali, eppure sono stati questi episodi banali che hanno dato un indirizzo alla mia vita cristiana, alla mia vita spirituale, cioè che mi hanno insegnato qualche cosa. Voi sapete che il Signore parla in varie maniere, non sempre il messaggio è quello che viene dal pulpito, non sempre il predicatore o la predicazione sono quelli che ci raggiungono e che ci illuminano: il Signore può parlare nelle più diverse maniere. Vorrei raccontarvi degli episodi che appunto ho definito quasi banali, ma che sono stati determinanti per me.
Il primo episodio risale ormai a quarantasette o quarantotto anni fa, è un episodio che si verificò fuori, lontano dalla chiesa. (...) In quei giorni visitavo con molta frequenza il negozio di un fratello il quale non era mai presente ma aveva alle sue dipendenze un altro fratello, e quindi io andavo in questo negozio per intrattenermi e conversare con lui. Ebbene un giorno, mentre mi trovavo in conversazione con questo fratello, entrò un giovane, un giovane credente che io conoscevo bene. Era venuto per fare degli acquisti e si trattenne per comprare quello che doveva comprare; terminato l'acquisto mi chiese se l'accompagnavo ed io volentieri mi avviai con lui. Per un tratto di strada lui continuò a parlare in relazione all'acquisto che aveva effettuato, ma improvvisamente si arrestò e disse: "Ma abbiamo perduto già troppo tempo a parlare di cose che riguardano solo la nostra vita materiale, parliamo delle cose del cielo! Io penso tutti i giorni e tutti i momenti a quell'ora in cui Gesù ritornerà, e immagino nei particolari e nei dettagli quello che godremo con Lui nella Sua presenza, la bellezza di quel luogo, la gloria di quell'atmosfera, la benedizione di stare insieme con Lui, di vederlo faccia a faccia". Incominciò ad entrare in una descrizione particolareggiata proprio nei più minuti dettagli di una cosa che per lui era viva, era palpitante, la vedeva chiaramente con gli occhi della fede e rappresentava per lui l'essenza della sua esperienza, del suo cristianesimo. Si vedeva bene, si sentiva bene che egli aveva accettato il Signore con questa visione e che viveva la sua esperienza cristiana proprio in funzione di questa realtà, per lui non esistevano altre realtà all'infuori di questa.
Per me fu una rivelazione, una meravigliosa rivelazione, perché specialmente i giovani, i ragazzi, quando accettano il Signore Lo accettano per le Sue benedizioni, per l'opera della Sua grazia ma nel tempo, appunto perché sono giovani, sono ragazzi; trasferiscono in un futuro tanto lontano l'adempimento delle promesse del Signore di vedere piuttosto sbiadito il giorno in cui il Signore ritornerà ed andremo ad abitare con Lui. Ma le parole di quel fratello da quel momento in poi mi diedero chiaro, preciso, il senso della speranza cristiana. Io credo che prima ancora di leggere quel passo contenuto nell'Epistola ai Corinzi : "Se noi speriamo in Cristo solo per le cose di questa vita, noi siamo i più miserabili degli uomini" io ho compreso questa realtà cristiana proprio attraverso la testimonianza di quel fratello; infatti è diventata così viva in me quella testimonianza, che io ricordo chiaramente nei giorni della mia giovinezza che ho desiderato ardentemente partire dal corpo e andarmene col Signore. Sapete che non è un sentimento che si trova tanto facilmente nei giovani, e invece quanto cantavo volentieri e canto tutt'ora quel cantico che dice: Io sono stanco di restar quaggiù. Proprio la realtà della gloria, la realtà del ritorno del Signore. È scritto nell'Epistola di Giovanni che chiunque ha questa speranza si purifica come Esso è puro, quindi è qualche cosa di essenziale nell'esperienza cristiana la visione della gloria, l'aspettativa della gloria, il desiderio della gloria. Molto spesso oggi incontriamo persone anche in età avanzatissima che non dimostrano di essere stanchi di star quaggiù, che hanno spavento del momento che potrebbe essere il momento determinante per andarsene col Signore, qualche cosa che non si concilia con quella che è la nostra vocazione, con quella che è la nostra fede. Ma io ringrazio il Signore per quell'incontro banale, una parola che può sembrare puerile ma che è stata cosi determinante per me.
Un'altra parola ugualmente determinante l'ebbi sempre nella mia infanzia spirituale e dico nella mia infanzia spirituale perché gli episodi che sto raccontando si sono tutti verificati quando avevamo ancora l'adunanza aperta; l'adunanza fu chiusa con l'inizio della persecuzione nel 1935 e quindi è stato tra il 1933 e il 1935 che io ho potuto godere anche la comune radunanza in un luogo aperto al pubblico. Ebbene, quest'altro episodio si verificò proprio fuori dell'adunanza. Era una sera nella quale c'era stato un culto a mio parere molto stanco, e c'era stata una predica tutt'altro che brillante, questa era la valutazione che io avevo fatto di quella sera di culto; quindi uscii dall'adunanza desideroso di unirmi a qualche giovane (...) per proseguire la strada verso casa mia. Infatti ne trovai subito uno che frequentemente mi era compagno di queste passeggiate, e mi avvicinai a lui per chiedergli di fare la strada assieme e di trattenerci un po' uniti, ma lui rispose: "Fratello, non posso. Sento solo un bisogno imperioso di correre a casa e buttarmi ai piedi del Signore, purché dopo un messaggio come quello che abbiamo sentito questa sera devo solo chiedere grazia a Dio perché questa parola possa operare efficacemente nella mia vita". Io rimasi sconvolto, sconvolto da questa constatazione, la grande differenza che c'era tra me e lui rispetto al giudizio, rispetto alla valutazione della riunione di culto, rispetto alla valutazione del messaggio della Parola di Dio. Ma non pensai nemmeno per un istante che era lui a sbagliarsi, compresi immediatamente che ero io che mi trovavo nel torto, e compresi altrettanto chiaramente che il torto era rappresentato dalla mia posizione interiore. Da quel momento ho compreso bene che noi riceviamo tanto dalle riunioni quanto dalla predicazione della Parola di Dio, esattamente in relazione alla nostra disponibilità davanti al Signore. Se il nostro cuore è semplice, se il nostro cuore è desideroso, se lo spirito nostro è assetato, noi siamo sempre e saremo sempre benedetti dal Signore e dalla Parola del Signore. Se noi stiamo in una riunione di culto per giudicare, per pesare, per esaminare, ovviamente noi assumiamo un'attitudine refrattaria che ci rende impermeabili di fronte alla benedizione del Signore. Anche questa è stata una benedizione determinante per la mia vita.
Feci anche un'altra esperienza, sempre in quel periodo, e direi che questa e un'esperienza che ho potuto valorizzare ed assimilare rovesciando i termini. C'era un altro giovane che frequentava la comunità e con il quale mi intrattenevo abbastanza frequentemente; egli era più novizio di me, era venuto dopo di me, quindi in qualche maniera io mi sentivo nei suoi confronti nel dovere di incoraggiarlo, di ammaestrarlo, di dargli qualche cosa e appunto mentre facevamo la strada insieme era sempre questo il programma che cercavamo di sviluppare. Ebbene, una sera, attraverso le tante cose che io chiesi, chiesi anche questa: "Che cosa dicono i tuoi familiari, i tuoi genitori di questa tua decisione, di questa tua conversione? " E la risposta mi freddò, perché quel giovane mi disse: "I miei genitori non sanno ancora nulla, io non ho detto nulla a loro e nulla è trapelato perché possano prendere una qualunque decisione o esprimere un qualunque giudizio nei miei confronti". Io rimasi gelato, e in me stesso, novizio della fede com'ero, io dissi: non potrà durare, non potrà durare. E infatti di lì a poco tempo, incominciò la persecuzione ed egli scomparve dalla circolazione, fu sopraffatto, fu spaventato. Ma la lezione era stata captata da me precedentemente, prima ancora che si verificasse l'evento che vi ho detto (quello della sconfitta, quello della caduta), perché in me stesso io sentii che con questa posizione egli non poteva assolutamente andare avanti nelle vie del Signore. Ma in seguito è stata la Parola di Dio ad illuminarmi chiaramente intorno a questo; Gesù ha detto che se noi ci vergogniamo di Lui, Egli si vergognerà di noi, (...). Voglio concludere con queste antiche reminiscenze, sono appunto degli episodi che probabilmente qualcun altro dimenticherebbe, a me sono rimaste impresse. Vi devo dire sinceramente che se io mi sforzo di ricordare tanti sermoni di 40 o 45 anni fa, non ci riesco, ma questi episodi mi sono rimasti impressi perché sono stati per me dei sermoni pratici, dei sermoni che mi hanno illustrato in maniera precisa quale attitudine e quale contegno avere e conservare nelle vie del Signore. L'ultimo episodio che vi voglio raccontare e relativo proprio ad un sermone, ad una predica, ed io non mi ricordo la predica ma ricordo il predicatore (credo che oggi sia il più vecchio fratello pentecostale in Italia, è ancora vivente e dovrebbe avere circa 66 anni di fede: il fratello Francesco Testa) il quale in un sermone disse appunto una frase: "Io ho aspettato il battesimo dello Spirito Santo sei mesi, ma in quei sei mesi io sentivo che non potevo vivere senza il battesimo dello Spirito Santo, e sono certo di dire la verità quando dico che in quei sei mesi non c'è stato un minuto solo della mia vita che io ero sveglio e che non ho pensato, non ho desiderato e non ho chiesto il battesimo dello Spirito Santo". Una frase soltanto, ma mi fece comprendere non solo il valore, l'importanza del battesimo dello Spirito Santo, ma mi fece comprendere come si chiedono e come si cercano le benedizioni di Dio, quelle benedizioni che ci sono necessarie, che sono state necessarie a me e che sono necessarie a tutti.
Ho detto che ben presto il Signore mi chiamò a svolgere un'attività nel Suo servizio attraverso delle circostanze particolari che mi spinsero nel campo di lavoro: la persecuzione, i culti frazionati nelle case, quindi la necessità di molti operai e molti predicatori (...). Vorrei così di sfuggita ricordare che in quei giorni si trattava di accettare un impegno di questo genere non con un miraggio allettante che hanno tanti in questi giorni, ma soltanto con il miraggio di affrontare maggiori responsabilità, maggiori sacrifici e maggiori persecuzioni degli altri. La polizia in quei giorni (e credo che anche in questi giorni sia dotata di questa capacità, di questa abilità) aveva la capacità di individuare coloro che rappresentavano i responsabili, coloro che secondo il loro modo di esprimersi erano le colonne, i capisaldi, e quindi la loro furia persecutrice si concentrava in modo particolare su quanti in qualunque modo si adopravano. Io ero giovane, giovanissimo, nel 1935 avevo solo vent'anni, ne dimostravo anche di meno quindi sembravo anche un ragazzo, e infatti qualche volta ho avuto le espressioni benevolenti da parte di queste autorità di polizia che non riuscivano a spiegarsi perché un giovane tanto giovane voleva rovinarsi un eventuale futuro, un'eventuale carriera o addirittura la vita, attraverso un'avventura che secondo loro era inutile. Quante volte mi sono sentito ripetere questa frase: "Perché Bracco, tu puoi pregare, basta che preghi solo, a casa tua, il Signore ti ascolta, quindi non c'è necessità che ti metti in mezzo a questi fanatici per rischiare tutto quel che rischi". Sono frasi che ho sentito ripetere molte volte, ma gloria a Dio, grazie al Signore, c'era un ardore, un fuoco, non solo nel mio cuore ma nel cuore di tanti fratelli. Ma per quanto riguarda il servizio del Signore, questo credo di averlo detto più di una volta: c'era un fuoco in conseguenza del fatto che fin dai primi giorni della mia conversione avevo avvertito profondo il bisogno di lavorare, di fare qualche cosa per il Signore, qualche cosa per l'opera del Signore. Qualche volta ho ricordato il primo servizio che mi fu affidato e che io accettai con grande entusiasmo, non fu di predicare: mi misero una scopa in mano e mi aggiunsero ad una squadra di fedeli per pulire l'adunanza, perché in quei giorni noi non avevamo bisogno di fedeli designati per pulire l'adunanza, c'erano abbastanza volontari per compiere tutto quello che era necessario per il servizio del Signore; e quando io fui gratificato ? posso proprio usare questo termine: "fui onorato" di essere messo in una di queste squadre, io sentii una grande gioia, sentii una grande soddisfazione. Quindi non fu per me una sorpresa sentire questa soddisfazione, questa gioia, quando ebbi la possibilità di cominciare ad amministrare anche la Parola del Signore. D'altronde io facevo delle scoperte straordinarie, meravigliose, e le scoperte erano queste: io non solo ero giovane, ma in un certo senso posso dire che ero anche novizio nella fede. In questi giorni noi parliamo di novizi nella fede di coloro che dopo sette, otto anni frequentano la chiesa; io erano soltanto due anni che avevo accettato il Signore, un anno e mezzo che ero sceso nelle acque del battesimo, un anno che ero stato battezzato nello Spirito Santo, eppure potevo sentirmi rallegrato e benedetto nel constatare che il Signore nel Suo amore e nella Sua infinita benignità mi guidava per amministrare la Sua parola.
I pericoli ed i rischi non mi preoccupavano perché il Signore ci aveva dimostrato e continuava a dimostrarci ogni giorno, che quando Lui voleva stendere la Sua mano per liberarci, era sempre pronto a farlo, quindi quando non eravamo liberati dovevamo dire che il Signore lo aveva permesso e perciò noi potevamo rallegrarci in Lui. (...) Una volta si e una volta no, una volta liberati e un'altra volta non liberati. Io ricordo, in una riunione di culto tenuta in una cava in via Tiburtina (probabilmente non esiste più, oggi ci sarà un quartiere in quel luogo, ma 45 anni fa ancora una gran parte di via Tiburtina era soltanto campagna e c'era questa cava abbandonata), in quel periodo io ero sottoposto al provvedimento di polizia, l'ammonizione, la vigilanza speciale (...), quindi la mia presenza in quella riunione significava violazione dell'ammonizione. La violazione dell'ammonizione poteva comportare una pena carceraria da tre mesi fino a due anni, e poi c'era anche questa caratteristica: quando il foglio di ammonizione veniva violato, ricominciava da capo; se uno per un anno e undici mesi aveva subito questa pena e all'undicesimo mese del secondo anno commetteva un'infrazione uscendo dal carcere, l'ammonizione ricominciava da capo ed era sempre per due anni. Questa era la procedura (...). Ebbene io ricordo, tenemmo la riunione di culto completamente fino al termine, infatti terminata la riunione di culto, contro il mio consiglio molti fratelli cominciarono ad avviarsi verso la fermata dell'autobus; dico contro il mio consiglio perché io conoscevo gli orari e sapevo che c'era ancora del tempo, e volevo evitare degli assembramenti che potevano essere sospetti; ma sapete, purtroppo l'indisciplina non è solo di questi giorni, ed un gran gruppo è uscito. Ebbene, c'era proprio una squadra di polizia che era stata informata, ma evidentemente avevano dato una segnalazione approssimativa e quindi questa squadra di polizia si era recata in un luogo più lontano di quello dove noi stavamo, e delusi stavano ritornando al commissariato; ma tornando al commissariato, notarono questo assembramento vicino alla fermata dell'autobus scoprirono immediatamente che si trattava proprio di quelli che cercavano. Ma gli ultimi che caddero in questa trappola, da lontano fecero segno a noi che stavamo ancora nella cava (io ero rimasto, ero stato coerente con l'esortazione data agli altri) e quindi noi proseguimmo per la campagna (...); ma tra quelli che erano caduti nella rete, c'erano tre o quattro fratelli che si trovavano esattamente nella mia stessa posizione di fronte alle norme di polizia. Furono processati, ebbero quattro mesi e mezzo di carcere e li fecero per intero. (...) Una liberazione, ma di queste liberazioni io ne ho avute non so quante, e mi hanno confermato, mentre io svolgevo il mio lavoro, che soltanto se il Signore avesse permesso, io sarei caduto in una di quelle trappole. A proposito proprio dell'ammonizione, ho già detto che i poliziotti venivano a visitare regolarmente, specialmente di notte, ma loro potevano venire fin dal tramonto (perché l'obbligo era quello di rientrare al tramonto); ebbene, generalmente non venivano alle prime ore e generalmente noi non eravamo presenti a quell'ora, perché non abbiamo mai pensato di sottostare all'imposizione dell'ammonizione. Ma una sera, tornando a casa, i miei genitori dissero: "È venuta la squadra della polizia e non ti ha trovato". Era capitata la medesima cosa ad altri fratelli e la conclusione è stata sempre la stessa: sono ritornati di notte 0 la mattina per arrestare appunto per violazione dell'ammonizione. Di conseguenza io ho aspettato durante la sera, durante la notte non vennero e ricordo che la mattina mi alzai più presto del solito con uno scopo preciso, quello di andare a salutare i fratelli perché prevedevo questo periodo di allontanamento a mezzo del carcere, e quindi prima che questo avvenisse, li volevo salutare. Dopo aver salutato alcune famiglie mi recai al lavoro, aspettando, li dove lavoravo, che venisse questa squadra di polizia ad arrestarmi, ma che non venne e non è mai venuta. Non so perché, non so come il Signore ha operato, che cosa ha detto a quei cuori, ma so che il Signore mi ha liberato.
Fui liberato anche quando fui chiamato a Terni per dei problemi di quella comunità, e andai in quella cittadina insieme con una sorella responsabile, anche lei impegnata nel lavoro del Signore, e ci recammo in una casa di fedeli. Ebbene, ricordo che eravamo li soltanto da pochi minuti quando un giovane venne di corsa (sapeva che eravamo arrivati e ci trovavamo li) a dirci: "La polizia sta visitando tutte le case dei fedeli e, cosa strana, sta alla ricerca di Bracco". Come fosse arrivata questa notizia, come fossero consapevoli di questo fatto, era un mistero, ma è vero che c'era una polizia segreta; d'altronde c'era stato uno scambio di telegrammi, non so quale era stata la strada ma erano a conoscenza. Naturalmente noi uscimmo da quella casa e ci mettemmo in cammino, in cammino per le strade di Terni, non sapevamo neanche dove andare. Ma ad un certo momento io pensai che dovevamo renderci un po' conto della situazione, e quindi decidemmo di recarci proprio nella casa del fratello responsabile della comunità (...) e ci avvicinammo a quella casa che era una casa a pian terreno, una casa che poteva essere in qualche modo spiata dall'esterno. Infatti le finestre a pian terreno erano accessibili e io mi avvicinai a quelle finestre mentre la sorella era rimasta ad una certa distanza; mi avvicinai e cominciai a guardare proprio attraverso la finestra: aveva le persiane chiuse, quindi era evidente, era chiaro quello che stavo facendo, e io non mi resi conto che mentre stavo eseguendo questa operazione, una squadra di polizia si stava avvicinando alla casa ed era un bel numero, dieci o dodici ? Certo non li ho contati! Ma era un bel numero di poliziotti che mi stavano circondando. Io mi sono voltato, li ho visti, sono passato in mezzo a loro e mi sono allontanato senza che nessuno di loro si rendesse conto che io stavo scomparendo dalla circolazione. Questo per dire appunto in che maniera meravigliosa il Signore, attraverso tante vicende, mostrava e dimostrava la Sua onnipotenza . In fondo queste cose confermavano quello che è scritto nella Parola di Dio: "L'Iddio che noi serviamo è potente da liberarci, ma ci liberi o non ci liberi, noi faremo la Sua volontà". Quindi se attraverso questo tempo io sono rimasto fermo e impegnato nell'opera del ministerio, posso dire grazie a Dio, e ringrazio Lui, perché è venuto soltanto da Lui; sono stati nove anni di persecuzione ma io non ho trascurato una riunione di culto, non ho trascurato un impegno di servizio. Noi abbiamo avuto riunioni nelle cave, nelle grotte, nelle campagne, nei boschi, sulle rive dei fiumi, nelle case; abbiamo conosciuto le più diverse sale, se vogliamo parlare di sale e se ci riferiamo a questi luoghi come sale. Gloria a Dio, non una volta io sono stato assente, appunto perché il Signore nella Sua benignità, nella Sua misericordia, è stato sempre il vigore e la forza. Quando abbiamo dovuto fare culti anche dentro le camere di sicurezza, li abbiamo fatti; abbiamo fatto delle riunioni nelle celle del carcere di Regina Coeli; ricordo delle riunioni che abbiamo fatto nel carcere mandamentale di Civita Castellana, e per noi erano sale, sale di culto offerte dal Signore, preparate dal Signore per darci queste opportunità.
Quindi sia questa, in fondo, una parola di incoraggiamento per i giovani, per i giovani che qualche volta, proprio per l'inesperienza anche nei confronti della vita in genere, di fronte a certi ostacoli, a certe difficoltà, si smarriscono. Ma quando queste difficoltà e questi ostacoli si presentano per l'opera del Signore, per il lavoro del Signore, non deve sentirsi nessuno smarrito nel cuore. L'opera è di Dio, dobbiamo metterla nelle Sue mani e quando noi, insieme all'opera, stiamo nelle mani del Signore, possiamo essere tranquilli e sicuri che il Signore ci porterà avanti, farà tutte le cose nel piano della Sua volontà."